La Medicina narrativa: una metodologia clinico-assistenziale

La Medicina narrativa: una metodologia clinico-assistenziale

19 Gennaio 2017 di: Nuccio Sciacca 0

Un articolo di: Antonio Virzì(Presidente Società Italiana di Medicina Narrativa(SIMeN, Salvatore Dipasquale, Tiziana Salvatrice Lo Monaco, Giovanni Previti (Direttivo SIMeN)

Fino a dieci anni addietro parlare di medicina narrativa significava, almeno per l’Italia, dover descrivere qualcosa di assolutamente nuovo del quale solo in qualche rivista specialistica straniera, per lo più in ambito oncologico, si trovava qualche studio di carattere sperimentale. La situazione è completamente modificata e, specie negli ultimi due anni, si è assistito ad un vero e proprio fiorire di iniziative culturali, convegni, corsi di formazione e singole relazioni, nelle quali compaiono i termini di “Medicina Narrativa”(7). Paradossalmente a questa diffusione non corrisponde affatto una piena chiarezza sul significato stesso dei termini utilizzati, né tantomeno dei contenuti che vorrebbero rappresentare. Chiariamo subito che in questo momento la confusione esistente non è affatto negativa e consente di potere andare oltre la semplice moda passeggera favorendo una continua evoluzione ancora tutta da scoprire. In questa ottica va subito citata la Consensus Conference organizzata dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2014 a Roma sul tema. In questa occasione, nell’alveo di una rigida metodologia e con il coinvolgimento dei “cultori” (il termine di “esperto” appare prematuro) più accreditati sono stati fissati alcuni riferimenti precisi che, pur non avendo la prerogativa di essere definitivi, hanno il valore forte di rappresentare una solida base per un percorso di crescita in piena evoluzione.

Cominciamo proprio dalla definizione che, frutto di un intenso dibattito e con qualche segno del necessario compromesso, rappresenta un riferimento condiviso per tutte le possibili evoluzioni. La riportiamo integralmente: “Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La Medicina Narrativa (NBM) si integra con l’Evidence-Based Medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura.”(4)

Con grande sforzo di sintesi si è riusciti ad individuare ambito operativo, significato e rapporti con la medicina contemporanea in relazione alla sua rappresentazione più forte quella della EBM.

Le motivazioni sono state ampiamente descritte dalla Giuria che ha ritenuto opportuno specificare meglio quanto la sintesi non aveva consentito. Era estremamente importante che venisse sottolineata la natura “medica” della Medicina Narrativa individuandola come: metodologia d’intervento clinico-assistenziale. Se è vero che tra i meriti della MN va considerato anche quello di fare da ponte tra una Medicina sempre più tecnicizzata ed il mondo delle scienze umanistiche, va considerato il rischio di un dissolvimento in un’area diffusa di quella esigenza semplice ed immediata di un recupero del rapporto medico-paziente (volutamente evitiamo il termine onnicomprensivo di “operatore sanitario”) attraverso una maggiore attenzione alla narrazione del paziente come persona. Non dimentichiamo come la stessa aggettivazione di “narrativa” nasca nel 2001,  da una felice intuizione di Rita Charon(2), internista alla Columbia University di New York(2), che a partire dagli anni ’90(3) ha iniziato a sviluppare un modello ideale per la pratica medica che tiene conto delle capacità empatiche, riflessive, di ascolto, al fine di migliorare la relazione umana che si crea durante il processo di cura. Possiamo quindi affermare che partendo da  un’esigenza  del paziente, l’essere ascoltato, si è sviluppato un modello che punta a migliorare un ambito  che spesso viene vissuto dal medico come una sua grave lacuna.

La MN, quindi, si propone come strumento per dare voce a tutti i soggetti che intervengono in un percorso di cura: pazienti, familiari, istituzioni, operatori sanitari, permettendo di dare il loro contributo per una maggiore condivisione della storia di cura che non sia più di esclusiva competenza medica o peggio ancora frutto di una asettica linea guida.

Un’altra opportunità che viene data è quella di costituire un nuovo strumento epidemiologico ed organizzativo capace di superare i limiti della fredda (e a volte miope) statistica, impropriamente accreditata come “obiettiva”.

Infine, vantaggio non trascurabile, è rappresentato dal fornire strumenti di formazione che siano naturalmente pratici ed efficaci, diversificandosi da una formazione specialistica che potrebbe sovrapporsi ad una vera e propria scuola di psicoterapia.

Questa rappresentazione della Medicina Narrativa sin qui riportata in maniera semplice e chiara, non deve fare sottovalutare le difficoltà concrete della sua applicazione. Gli stessi termini di Medicina Narrativa sono palesemente ambigui in quanto, letteralmente, l’aggettivo “narrativo” significherebbe: “che narra”. Non è questo il senso della Medicina Narrativa. In realtà, la stessa Consensus Conference motiva la scelta rispetto all’alternativa rappresentata da Medicina Basata sulle Narrazioni NBM sulla semplice maggiore diffusione dei termini, a dimostrazione della presenza di una scelta basata su un dato di fatto. Non viene preso in considerazione che l’utilizzo della definizione “basata sulle narrazioni” avrebbe indicato una sproporzione del peso della narrazione che deve invece rimanere in corretto equilibrio con le evidenze.

Abbandonando quindi, il tradizionale stile di un’esposizione ufficiale vogliamo arrivare a quello che, a nostro avviso, è uno degli impegni più importanti della Medicina narrativa. Partiamo da un’osservazione semplice che ci da tutta la dimensione del problema: le cartelle cliniche appaiono oggi quasi sempre svuotate di ogni riferimento biografico (figuriamoci emozionale) e la stessa anamnesi, pur essendo più storia della malattia che del malato, si è talmente impoverita fino all’essere sostituita, in alcuni casi, da una serie di risposte si/no o di crocette su un questionario.

Il mito della supremazia degli esami strumentali, così come ha comportato la quasi scomparsa della visita medica, ha anche determinato l’impoverimento pressoché completo della conoscenza del paziente come persona(8). Ci si trova quindi davanti ad un problema che non può essere limitato al semplice recupero del rapporto medico paziente inteso come relazione particolare, ma come fenomeno diffusissimo di assenza del rapporto stesso con il paziente, ma solo con i suoi referti. In questa drammatica situazione, si pone il problema di come riconciliare l’esigenza di un recupero di un minimo di sensibilità verso la storia dei pazienti da parte di un numero enorme di medici con le esigenze di una formazione che necessariamente deve essere limitata ad un piccolo spazio rispetto al tradizionale aggiornamento professionale specialistico sempre più pressante. In altre parole, come permettere al medico di recuperare questa sensibilità in una condizione di grandi limiti temporali nella sua attività professionale (non dimentichiamo anche il carico burocratico) oltre che nella formazione specialistica ( pressata da continue scoperte).

Riteniamo che la Medicina Narrativa, attraverso alcuni dei suoi strumenti, come la copiosa letteratura, la cinematografia e ultimamente anche i mezzi digitali come i blog, che riguardano storie di medici e di pazienti(1),(9) , possa rappresentare un buon compromesso per una formazione diffusa che non richieda particolari approfondimenti, lasciando invece questa possibilità per ambiti più circoscritti per i quali sono necessari interventi specifici (gruppi di pazienti oncologici, malati cronici, ecc…).

Una conferma indiretta delle difficoltà descritte viene anche dall’osservazione di come in questi ultimi anni, l’interesse maggiore alla Medicina Narrativa sia venuto soprattutto dall’area delle professioni sanitarie ( comprendendo in queste anche gli psicologi ) e molto meno dai medici, quasi che, paradossalmente, più il medico si rende conto delle esigenze di una comunicazione diversa con il paziente, più la delega ad altre figure. Queste, peraltro, sono ben liete di occupare uno spazio della professione medica che viene colpevolmente lasciato libero. Rimane comunque un vantaggio reale per il paziente che trova un canale disponibile per essere ascoltato, ma sicuramente viene snaturata quella che riteniamo come caratteristica più profonda dell’essere medico: la relazione con il paziente.

Volendo proprio usare un suggerimento che ci viene dalla letteratura “medica” (letteratura non scientifica), già due secoli fa Conan Doyle, medico, ma più conosciuto come l’autore di Sherlock Holmes, scriveva: “se non vogliamo che i nostri medici diventino delle semplici macchinette, è necessario che conoscano le storie di vita di medici e pazienti”(5). Conan Doyle non poteva immaginare come già oggi questo suo timore si stia realizzando e come in un futuro nemmeno tanto lontano sia immaginabile che il ruolo del medico, ingabbiato in linee guida, procedure e sottomesso totalmente ai risultati strumentali, finisca per essere completamente sostituibile da una macchina (all’epoca di Cohan Doyle la tecnologia dei robot non esisteva). Le esigenze di ascolto del paziente continueranno a trovare una risposta in altre figure professionali ma non potranno mai avere quelle garanzie che dovrebbero essere connaturate alla figura del medico inteso come simbolo dell’aiuto diretto e concreto al malato.

Esistono alcune obiezioni semplici e in parte anche condivisibili. E’ sufficiente la lettura o la visione anche commentata di un brano letterario o di un film per far recuperare al medico una sensibilità all’ascolto perduta? Si può fare a meno di approfondimenti complessi e continuare a parlare di medicina narrativa come una metodologia d’intervento clinico-assistenziale? L’unica soluzione che oggi riteniamo possibile è quella di due percorsi differenziati: uno semplice (a costo di apparire superficiale), limitato a interventi brevi che abbiano come obbiettivo solo una “sensibilizzazione” all’ascolto della storia del paziente (il commento di brani letterari e semplici esercizi di scrittura creativa possono essere sufficienti allo scopo) che possa raggiungere un numero quanto più ampio possibile di medici; l’altro con veri e propri approfondimenti teorici e l’impiego di tecniche specifiche spinte al limite, ma senza sconfinare in un vero e proprio percorso psicoterapico, che riguardano in vario grado tutti gli operatori della sanità ma con specifici riferimenti ad aree cliniche particolari(6). In questa logica, proprio in Sicilia, sono fiorite numerose iniziative. Da diversi anni, l’Azienda “Vittorio Emanuele-Policlinico” organizza vari corsi di formazione, la Società Italiana di Medicina Narrativa nel 2015 ha organizzato il 1° Congresso Nazionale a Ragusa dove la MN ha trovato un suo momento di maturità che l’allontana dal rischio di semplice moda passeggera e la consolida come un valido strumento clinico-assistenziale ed anche formativo. Non ultimo, è stato organizzato un convegno, “Le nuove frontiere della Medicina Narrativa”, tenutosi a giugno del 2016 che ha visto la collaborazione di associazioni di volontariato quali l’Angolo onlus, l’Andos002C  CSVE, LILT e l’Università di Catania.

Per il 2017 è prevista l’attivazione di un Master Universitario di primo livello proprio qui a Catania.

BIBLIOGRAFIA

  1. Balestrieri M., Vero come la finzione. La psicopatologia al cinema. Vol. 1. Springer Verlag 2010;
  2. Charon R., Narrative medicine: a model for empathy reflection, profession and trust. JAMA 2001; 286:1897–1902;
  3. Charon R., Literature and medicine contribution to clinical practice. Ann Intern Med; 1995 122(8): 599-606;
  4. CONFERENZA DI CONSENSO. Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative. I Quaderni di Medicina. Il Sole24Ore Sanità, Allegato al n.7, 24 feb.-2mar. 2015;
  1. Doyle A. C., La lampada rossa. Storie di medici e di medicina, Passigli Narrativa, Firenze, 2011;
  1. Previti G., Virzì G., Virzì A., Medicina Narrativa: un nuovo modo di affrontare la malattia.  Rivista Formazione Psichiatrica n. 1-2 Gennaio-Giugno 2009;
  2. Virzi’ A., Bianchini O., Dipasquale S., Genovese M., Previti G., Signorelli  M. S., Medicina Narrativa: cos’è?. Rivista Ufficiale della Società di Medicina Narrativa N.1, Catania, 2011;
  3. Virzì A., Dipasquale S., Lo Monaco T.S., Previti G., Ruta S. (in press), La medicina narrativa in psichiatria: un modo per curare e prendersi cura, Rivista “Medicina nei secoli”, quadrimestrale di Storia della medicina della Sapienza, N. 2016-2;
  4. Virzì A., Signorelli M. S. Medicina e Narrativa. Un viaggio nella letteratura per comprendere il malato (e il suo medico). Franco Angeli editore, Roma, 2007.

 

Autore

Nuccio Sciacca

Direttore responsabile


Email: nucciosciacca@cataniamedica.it

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