Medico competente: “fase due” e sorveglianza attiva COVID-19 nei luoghi di lavoro

Medico competente: “fase due” e sorveglianza attiva COVID-19 nei luoghi di lavoro

8 Maggio 2020 Redazione 0

Nel commentare le tappe per la ripresa delle attività produttive, la cosiddetta “fase due”, qualche giorno fa il premier ha affermato che “si riapre solo quando potremo farlo in sicurezza”. Per quanto riguarda i luoghi di lavoro, il comitato tecnico-scientifico della Protezione civile agli inizi del mese di Aprile aveva messo a disposizione del Governo uno strumento di valutazione, proposto dall’INAIL, basato sui parametri di esposizione, prossimità e aggregazione; successivamente è stato siglata tra le parti sociali la revisione del protocollo condiviso per la sicurezza nei luoghi di lavoro, inserito poi nell’ultimo DPCM del 26 aprile e pochi giorni addietro, il 29 aprile, da parte del Ministero della Salute 29 è stata pubblicata una circolare interpretativa dei vari aspetti individuati nel protocollo (per la parte sanitaria). In questo modo sono stati messi a punto i provvedimenti che permetteranno alle aziende adeguati livelli di protezione per i lavoratori per scongiurare le possibilità di contagio e di ulteriore diffusione del nuovo coronavirus nella fase di ripresa delle attività produttive, la cosiddetta “fase due”. Tali misure riguardano precisi protocolli di sicurezza che prevedono una riorganizzazione sociale e aziendale profonda (ripresa graduale delle attività nelle grandi aziende, rimodulazione di turni di lavoro, rispetto delle distanze interpersonali, utilizzo di mascherine e guanti, eliminazione di assembramenti negli accessi, spogliatoi e mense, ricorso a smart-working etc.) sulle quale non è il caso di soffermarsi dettagliatamente in questa sede. Per evitare il contagio è stata invece considerata la necessità di attivare una “sorveglianza sanitaria attiva“  – a livello del territorio – che consenta di individuare tempestivamente i nuovi casi e scongiurare la possibilità di creazione di nuovi “cluster” di propagazione del SARS-CoV-2. Parte fondamentale di tale sistema sarà costituito dalla vigilanza nei luoghi di lavoro, che potrebbero costituire una importante fonte di contagio tra i lavoratori e diverrà sempre più importante il ruolo cardine del medico competente, nelle aziende nelle quali è presente. Allo stesso tempo si è pensato anche di estendere questa tutela alle aziende ove non è obbligatoria tale nomina, mediante medici incaricati ad hoc coinvolgendo le aziende sanitarie locali o l’INAIL [impropriamente denominati dai quotidiani come “medici sentinella”], come indicato nella prima stesura del cosiddetto “Decreto Aprile” che dovrebbe essere emanato dal Governo a breve. Oltre alle consuete attività professionali svolte, l’orientamento emerso nelle ultime settimane è quello quindi di ritenere la figura del medico competente fondamentale per la corretta valutazione del rischio da nuovo coronavirus nei vari luoghi di lavoro, in collaborazione con datore di lavoro, RSPP e RSL e delle più adeguate procedure, misure protettive e DPI da porre in atto nel peculiare settore produttivo e ambiente occupazionale. Inoltre, in una nuova declinazione del concetto di sorveglianza sanitaria (definita appunto come “eccezionale”), è stato proposto che il medico competente debba lavorare all’individuazione dei nuovi casi di COVID-19 nei luoghi di lavoro, all’identificazione e alla gestione dei cosiddetti “soggetti fragili” nonché sovrintendere al rientro al lavoro di tutti i dipendenti e, segnatamente, dei soggetti con pregressa malattia e/o infezione da SARS-CoV-2 avvalendosi di visite mediche speciali, in deroga al disposto del D.Lgs. 81/08 e con l’espressione finale di un giudizio di idoneità. Viene così esplicitamente ribadita la terzietà del ruolo del medico competente e il suo carattere pubblicistico, nel rispetto di quanto stabilito dalle autorità sanitarie nazionali e locali e con il necessario stretto rapporto con i Dipartimenti di Prevenzione delle aziende sanitarie territorialmente competenti e con i medici di medicina generale (contact tracing nella precoce identificazione dei contatti in ambito lavorativo e nel loro isolamento, corretta gestione e presa in carico del lavoratore con sintomatologia sospetta per infezione da SARS-CoV 2). In tale contesto, nel rispetto delle norme in tema di segreto professionale e della privacy, è opportuno che anche il lavoratore divenga parte attiva e sia consapevole di dover informare il datore di lavoro, direttamente o per il tramite del medico competente, delle variazioni del proprio stato di salute per infezione da SARS-CoV 2 quali contatti con casi sospetti, inizio di quarantena o isolamento domiciliare fiduciario, eventuale riscontro di positività a test diagnostico molecolare (il cosiddetto tampone). Passando rapidamente a una sintetica disamina dei provvedimenti sin qui esitati, si è concordi nel ritenere che negli ambienti extra-sanitari il medico competente provveda ad adottare, in collaborazione con il datore di lavoro e il RSPP, una serie di azioni che vadano a integrare il documento di valutazione dei rischi per prevenire la possibilità di contagio dal nuovo coronavirus negli ambienti di lavoro e la diffusione dell’epidemia, tenendo presente che le misure igienico-sanitarie previste dalle normative che si sono susseguite devono essere applicate alle varie realtà aziendali, soprattutto nelle piccole e medie imprese. Nell’ambito della sorveglianza sanitaria tradizionale il medico competente dovrà continuare a privilegiare le visite preventive, le visite su richiesta e le visite al rientro al lavoro dopo 60 gg. di assenza continuativa per motivi di salute e le visite post-Covid19 (vedi più avanti). Anche se la circolare ministeriale del 29 aprile ammette la possibilità di differire le visite periodiche in epoca successiva al 31 luglio 2020, è prevedibile nel prossimi giorni una graduale ripresa della sorveglianza sanitaria periodica, anche in relazione alle differenti disposizioni regionali, restando inteso che, nelle more e fino all’effettuazione della visita medica periodica “scaduta”, rimane valido il giudizio espresso in precedenza. In ogni caso, cautelativamente, andrebbe differita l’esecuzione di analisi ed esami strumentali in grado di agevolare l’infezione da nuovo coronavirus quali ad esempio spirometrie, accertamenti ex comma 4 art. D.Lgs 81/08 (drug test) e controlli ex art. 15 Legge 125/01 (alcol-test con etilometro). La sorveglianza sanitaria dovrà porre particolare attenzione ai soggetti affetti da patologie croniche che li rendano più suscettibili all’infezione e alle complicanze della malattia Covid-19, anche in relazione all’età (soggetti ultra-55enni). Tutte le prestazioni sanitarie del medico competente devono essere effettuate presso ambulatori privati o infermerie aziendali nel pieno rispetto delle norme igieniche e organizzative previste dalle autorità sanitarie (Ministero della Salute, OMS, DL n. 9 del 02/03/2020 etc.) e dunque è del tutto sconsigliabile effettuare visite presso locali aziendali non idonei o in assenza di documentate informazioni sulla sanificazione degli stessi, condizioni da rispettare anche nel caso di ambulatori mobili (camper sanitari attrezzati). Per quanto riguarda l’esecuzione di tamponi e test sierologici, nel protocollo condiviso viene esplicitato che: “il medico competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglianza sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori”. A tale proposito non si possono non rammentare le raccomandazioni provenienti dalle società scientifiche del settore, SIML e ANMA (cui si rimanda) relativamente alla insufficiente affidabilità dei test attualmente sul mercato e sulla impossibilità di utilizzo a scopo diagnostico e prognostico e per la stessa idoneità al lavoro. Si ribadisce che, in assenza di conoscenze scientifiche validate sulla COVID-19 e sull’immunità derivante, l’utilizzo di test sierologici – pur richiesto da molte aziende e accolto con favore dagli stessi lavoratori – non è attualmente in grado di fornire dati utili per il singolo soggetto come “patenti di immunità” o altra attestazione analoga. In ogni caso, anche qualora inseriti in progetti epidemiologici aziendali o previsti da aziende sanitarie locali, tamponi e/o test sierologici non dovrebbero essere eseguiti direttamente dal medico competente (rammentando anche quanto disposto dall’art. 5 della Legge 300/70), che dovrebbe mantenere solo un ruolo di coordinamento e supervisione. Si tenga presente, in questi casi particolari, la necessità di acquisizione del consenso informato da parte dei lavoratori che intendono sottoporsi all’indagine e che in nessun caso i risultati delle analisi così condotte possono essere trasmessi e/o comunicati al datore di lavoro. Particolarmente complessa e delicata appare la gestione dei cosiddetti “lavoratori fragili” di cui al comma 3 lettera b) dell’articolo 3 DPCM 08/03/2020. L’esperienza condotta nelle ultime settimane ha messo in evidenza che in assenza di protocolli nazionali certi e precise indicazioni del Governo e dell’INPS risulta arduo tutelare tali soggetti, talora costretti a fare la spola tra medico competente e medico di medicina generale senza che sia possibile trovare soluzioni concrete. Il “Decreto Aprile” sembra prospettare interessanti novità, almeno nella versione nota che circola in rete ma in atto, fatta eccezione per i soggetti giudicati disabili o portatori di handicap ai sensi della Legge 104/92 della competenti Commissioni Invalidi (cfr. l’art. 26 del decreto Cura Italia, modificato dal Parlamento), non risultano ancora compiutamente definite le condizioni sanitarie che possono determinare una condizione di “fragilità” o di “suscettibilità” al contagio e soprattutto alle più gravi complicanze della malattia Covid19. A tale proposito nel protocollo d’intesa viene richiamato che “alla ripresa delle attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da COVID 19. È raccomandabile che la sorveglianza sanitaria ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età”. Viene inoltre indicato che: “Il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy”. Per assolvere a tale disposizione il medico competente dovrebbe essere a conoscenza delle condizioni sanitarie attuali (oltre a quelle passate) dei dipendenti delle aziende per le quali è nominato e ciò non è immediatamente realizzabile in tutti i casi, sia perché alcuni lavoratori potrebbero non essere soggetti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs. 81/08 sia poiché nuove patologie potrebbero essere insorte di recente, in seguito all’esecuzione dell’ultima visita medica periodica (o di altra natura) e quindi ancora non note. Appare arduo, inoltre, pensare di costituire “elenchi” di lavoratori da inviare tout court alle aziende. Richiamando al proposito le modalità operative proposte da SIML e ANMA, si suggerisce di realizzare una nota informativa che le aziende possono trasmettere a tutti i dipendenti, con i mezzi più idonei, indicante che il medico compente valuterà situazioni sanitarie meritevoli di approfondimento per una maggiore tutela ai fini della Covid19. I lavoratori potranno così inviare al medico competente adeguata certificazione sanitaria attestante il presunto stato di “fragilità” (malattie croniche cardiovascolari, respiratorie, metaboliche etc.) che sarà esaminata ai fini di un primo giudizio, eventualmente se necessario da supportare con altre analisi o visite specialistiche. La circolare ministeriale più volte citata stabilisce che lo stato di suscettibilità del lavoratore potrà essere valutato anche attraverso l’esecuzione di “visita su richiesta” ex lett. c) comma 1 dell’art. 41 del DL 81/08. Va precisato che il medico competente può certamente suggerire o raccomandare misure preventive e protettive, laddove possibili (ad esempio telelavoro, smart-working, lavoro in solitario, particolari DPI etc.) ma che la decisione di metterle in atto o di porre il soggetto in astensione temporanea dal lavoro rimangono in capo, rispettivamente, al datore di lavoro e al medico di Medicina Generale che assiste il lavoratore. Il protocollo d’intesa recepito dal DPCM 26/04, con conferma della circolare ministeriale, ha inserito una nuova fattispecie di visita medica da eseguire al rientro in azienda per i lavoratori già affetti da malattia Covid19, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione rilasciata dal Dipartimento di prevenzione territorialmente competente e indipendentemente dal periodo di assenza e, quindi, in deroga al disposto dell’art. 41 co 2 lettera e-ter, che ne fa previsione solo a seguito di 60 giorni di assenza continuativa per motivi di salute. Detto controllo non riguarda lavoratori soggetti a isolamento fiduciario per sospetto pregresso contatto stretto o in quarantena perché rientrati da altre regioni. Analogamente al controllo del DL 81/08, tale visita è intesa a valutare la piena idoneità alla mansione specifica di lavoratori ammalati Covid-19, tenuto conto di possibili sequele della patologia e/o di postumi persistenti o permanenti, quali ad esempio riduzione della funzionalità polmonare o di altra natura. Si chiarisce che tale fattispecie è specifica per i casi conclamati di Covid-19 e non già per casi sospetti mai diagnosticati o curati; altresì nessun controllo sanitario è previsto per altre assenze dovute a malattie differenti e di durata inferiore ai 60 giorni consecutivi. Come già detto, tale visita va condotta a valle della presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del/dei tamponi (a seconda della regione) rilasciata dal locale Dipartimento di Prevenzione ed effettuata con le consuete modalità incardinate all’art. 41 del D.Lgs. 81/08. E’ possibile, quindi, richiedere eventualmente esami di laboratorio o strumentali e visite specialistiche a corredo, con costi a carico del datore di lavoro. Anche in assenza di una specifica previsione normativa, si ritiene opportuno che la prestazione si concluda con un giudizio di idoneità alla mansione specifica, con eventuali prescrizioni o limitazioni, anche al fine di consentire al lavoratore l’eventuale ricorso all’organo di vigilanza territorialmente competente ai fine dell’art. 41 comma 9 del citato DL81/08. Per completare la rassegna delle recenti disposizioni occorre tenere presente che in alcune regioni, al fine di evitare spostamenti dei lavoratori e assembramenti presso gli ambulatori medici con i conseguenti possibili rischi di contagio, è stato consentito che l’espletamento di alcune delle prestazioni sanitarie del medico competente possa essere assolto a mezzo di mera raccolta documentale e/o mediante visite “a distanza”. Pur ammettendo che in taluni casi ciò possa essere realizzato senza particolari difficoltà ai fini dell’espressione di un giudizio, soprattutto a valle di attestazioni probanti e di lavoratori con precedenti controlli sanitari periodici effettuati per molti anni, nella circolare ministeriale tale prassi viene decisamente sconsigliata. In effetti, soprattutto se trattasi di elaborare una valutazione sanitaria comprendente non solo la raccolta anamnestica e documentale ma anche e soprattutto l’esame obiettivo generale e specifico, si tratta di condizioni che sono proponibili solo come modalità eccezionali e non ripetibili, da valutare con attenzione caso per caso perché in conflitto con i principi generali della Medicina del Lavoro, Disciplina che mantiene un fondamentale aspetto clinico che non può essere assolto in remoto. Si richiama infine, in conclusione, che tutte queste nuove prestazioni e atti medici richiesti da effettuare da parte del medico competente rimangono a carico del datore di lavoro, come gli altri adempimenti di legge, e in qualche caso dovranno considerati a parte rispetto ai contratti già stipulati per le nuove fattispecie che scaturiscono dalla fase di emergenza sanitaria.

 

Ernesto M. Ramistella

Componente Direttivo Nazionale Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML)

Segretario Nazionale Area MC Coordinamento Sindacale Professionisti Sanità (CoSiPS)

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