Aggiornate Linee guida ACOG per l’emorragia post-partum

Aggiornate Linee guida ACOG per l’emorragia post-partum

12 Ottobre 2017 Redazione 0

L’ACOG ha rilasciato un aggiornamento delle proprie linee guida sulle emorragie post-parto. Secondo gli autori, dato che le emorragie ostetriche sono imprevedibili, relativamente comuni e portano a morbidità e mortalità considerevoli, tutti i membri dell’unità ostetrica, compresi medici, ostetriche e personale infermieristico, dovrebbero essere preparati a gestire le pazienti in questa evenienza. Secondo il coautore Aaron Caughey della Oregon Health and Science University, implementando i protocolli standard è possibile migliorare gli esiti, e ciò è di importanza ancora maggiore negli ospedali rurali, che spesso non hanno la capacità di trattare una paziente che potrebbe necessitare di una trasfusione massiva. In questi casi è necessario avere pronto un piano di risposta che implichi triage e trasferimento della paziente in strutture di livello più elevato se necessario. E’ importante non sottovalutare il reale rischio comportato dalle emorragie materne, ed avvantaggiarsi dell’approccio sistemico e dello strumentario disponibile. Ciò è fondamentale per identificare prontamente le donne con fattori di rischio di emorragie e monitorare questi fattori di rischio durante il travaglio, ed essere in grado di agire più prontamente ed efficientemente se l’emorragia si dovesse manifestare. Gli ospedali in questo senso potrebbero implementare protocolli per superare le difficoltà logistiche prima di doverle affrontare realmente nella vita reale. Secondo le nuove raccomandazioni, tre componenti per la gestione attiva del terzo stadio del travaglio possono aiutare a ridurre l’incidenza delle emorragie post-parto: somministrazione di ossitocina, massaggio uterino e trazione del cordone ombelicale. Nel caso in cui l’emorragia post-parto sia causata da atonia uterina, gli uterotonici, che inducono la contrazione dell’utero, dovrebbero rappresentare il trattamento di prima linea, ma se essi dovessero fallire è possibile introdurre misure come palloncini intrauterini ed acido tranexamico. Quest’ultimo impedisce ai coaguli di degradarsi, e può essere somministrato al fallimento del primo trattamento: la ricerca ha dimostrato che esso riduce la mortalità se somministrato entro 3 ore dalla nascita. I metodo meno invasivi, comunque, andrebbero sempre usati per primi, prendendo in considerazione quelli più aggressivi in caso di fallimento allo scopo di preservare la vita della madre. (Obstet Gynecol. 2017; 130: 923-5)

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